Quest’opera è di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore o usati in modo fittizio.
Sara non avrebbe mai pensato di ridursi così. Non si capacitava di essere stata licenziata così dal suo ex datore di lavoro, senza una spiegazione. I conti in banca erano in rosso e i lavoretti saltuari non bastavano più nemmeno per i regali ai figli, figuriamoci per mantenere la casa. Vederli crescere con gli occhi pieni di desideri e non poter soddisfare neanche i bisogni essenziali le stringeva lo stomaco ogni volta che apriva il portafoglio. Il suo ex marito? Sparito con una ragazzina alle Canarie, lasciandole solo responsabilità e silenzi.
Era il 23 dicembre. La città era già vestita a festa: le vetrine illuminavano le strade di luci calde, i negozi traboccavano di gente carica di pacchi e profumi di cannella e vin brulé aleggiavano nell’aria. Per lei, però, quelle luci erano lame negli occhi, un continuo promemoria della sua miseria. Camminava col bavero del cappotto alzato e una bolletta spiegazzata in mano, senza sapere come affrontare il nuovo anno.
Fu allora che la vide. Un’insegna familiare, un tuffo improvviso nel passato. Quel locale… ci aveva lavorato anni addietro, quando ancora riusciva a sentirsi desiderata, con il sorriso leggero e i conti pagati puntualmente. Il pensiero le scattò in testa come un lampo: e se il vecchio proprietario fosse ancora lì? Forse poteva offrirle una via d’uscita, anche solo temporanea.
Spinse la porta ed entrò.
Il calore del locale la avvolse subito, contrastando l’aria gelida della strada. L’ambiente era rimasto quasi intatto: muri scuri che assorbivano le luci soffuse, il bancone lucido come un tempo, la musica di sottofondo che invitava a rallentare il respiro. L’unica differenza era l’assenza della coltre di fumo che un tempo aleggiava in alto.
Il vecchio proprietario la riconobbe subito. Si misero a ricordare i vecchi tempi, inclusa la loro piccola relazione consumata dietro al bancone. Purtroppo, però, gli affari non andavano bene e non aveva la possibilità di assumere nessuno. A Sara non rimase altro che annuire, celando un sorriso amaro.
Si sedette a un tavolino in fondo alla sala, nell’angolo più appartato, e rimase a fissare lo specchio davanti a sé, che rifletteva la sua figura provata. I capelli sciolti le cadevano sulle spalle, le labbra senza trucco le sembravano più sottili del solito. Aveva tolto il cappotto scialbo, rivelando il vestito nero che poco prima aveva indossato per l’ennesimo colloquio inutile. Corto, semplice, aderente: un abito che ancora sapeva accarezzare le sue curve generose. Attraverso lo specchio si accorse che, nonostante tutto, il suo corpo reggeva bene le sfide del tempo. Il seno pieno, abbondante, le dava un’aria di donna matura e sensuale, anche se il suo volto tradiva stanchezza.
La sfiorò un pensiero amaro: chissà se un altro uomo mi vorrà ancora.
Fu proprio in quel momento che sentì una voce alle sue spalle: «Sara?»
Si voltò di scatto. Un uomo la osservava con uno sguardo fermo, deciso, ma non ostile. Quel sorriso… quegli occhi… le bastò un attimo per riconoscerlo. Marco. Certo, non era più il ragazzino mingherlino con gli occhiali che ricordava. Allora era impacciato, quasi invisibile, e lei stessa, da adolescente crudele, non gli aveva risparmiato prese in giro. Ma ora… ora aveva davanti un uomo diverso.
Marco era cambiato. Alto, con le spalle larghe e ben definite sotto la camicia scura, il volto incorniciato da una barba corta e curata, gli occhi intensi di chi aveva imparato a guardare il mondo senza abbassare lo sguardo. Il fisico asciutto, scolpito dal tempo e forse da ore di palestra, lo rendeva sicuro dei propri movimenti. Perfino il modo in cui si avvicinava tradiva una sicurezza che un tempo gli era del tutto estranea. Quel sorriso, lo stesso di un tempo, era però più maturo, velato da un magnetismo maschile che a Sara fece salire un brivido lungo la schiena.
«Mamma mia, quanti anni sono passati» disse lui, facendo un cenno al cameriere. «È dai tempi del diploma che non ti vedo. Permettimi di offrirti da bere.»
Il cameriere arrivò. Sara lo guardò con esitazione. Mamma mia, come è cambiato… pensò, e per un istante si sentì nuda davanti a quello sguardo che sembrava spogliarla senza fretta. Aveva bisogno di un contatto umano, di sentirsi ancora vista, viva.
Si schiarì la voce, tentando un sorriso. «Certo… potresti offrirmi una birra.»
Sara strinse il bicchiere tra le mani. Non sapeva se confidare il suo dramma al vecchio compagno di scuola o tenersi tutto dentro. Alla fine decise di parlare: «Sai, Marco… non pensavo di rivederti mai più. Ma ora che sei qui davanti a me, forse dovrei chiederti scusa per come mi sono comportata in passato.»
Lui la fissò a lungo, come se ogni parola le rievocasse ricordi troppo vivi. Nei suoi occhi c’era ancora un’ombra di quel sentimento disperato che anni prima non aveva mai trovato risposta.
«Ti ringrazio per le tue scuse» disse con voce calma. «Ma, in fondo, il vostro atteggiamento mi ha fatto bene. Mi ha costretto a reagire, a diventare più duro. Ho preso i voti più alti all’università, ho aperto piccoli locali… e piano piano sono cresciuto. Ora sto cercando di comprare proprio questo posto. Un ricordo di una gioventù che non esiste più.»
Sara non seppe come reagire. Si sentiva orgogliosa di lui e allo stesso tempo arrabbiata: perché lui sì, e io no?
«Sono contenta per te, Marco» disse con un sorriso stanco. «Io, invece, non ho avuto la tua fortuna. Sono una madre sola, piena di debiti. Non so davvero come uscirne.»
Lui inclinò la testa, osservandola come se lo specchio alle sue spalle non gli bastasse. «Non dire così. Sei ancora giovane… e bellissima. In questo mondo, credimi, conta ancora.»
«Ormai ci sono ragazze più giovani di me» replicò amara. «Pensa che persino il mio ex capo, quello dietro al bancone, non mi ha voluta. Forse anche lui cerca solo un volto nuovo ai tavoli.»
Marco sorrise, ma nei suoi occhi passò un lampo diverso, più freddo. «Forse. Ma vedi, il destino ci ha fatti rincontrare. E io credo che potremmo venirci incontro. Potrei aiutarti… e, allo stesso tempo, togliermi una piccola vendetta personale.»
Sara lo guardò confusa. «Non capisco… cosa intendi?»
La voce di Marco cambiò tono, come se la parte dell’uomo d’affari si fosse imposta sul resto. «È molto semplice. Dieci giorni, dieci notti. Tu sarai mia, come e quando vorrò. In cambio ti darò centomila euro in contanti.»
Il respiro di Sara si spezzò in gola. L’istinto aveva avuto ragione: dietro il fascino dei ricordi si nascondeva un prezzo.
«Ma sei impazzito?» esplose. «Non posso credere che tu…»
«È solo una proposta» la interruppe con calma glaciale. «Un dare e avere. Nessuno ti obbliga. Puoi alzarti, uscire da quella porta e tornare ai tuoi problemi. Oppure… restare.»
Sara abbassò lo sguardo. Dentro di lei la rabbia e la vergogna si mescolavano a una paura sottile. Ma c’era anche la tentazione: una via d’uscita immediata. Pensò ai debiti, alla casa, al futuro di suo figlio. Si guardò ancora nello specchio e vi vide una donna stanca, segnata, che non voleva arrendersi.
Si passò una mano tra i capelli e sussurrò, con un filo di voce incrinata: «Sei davvero uno stronzo, Marco. Ma forse… potrei accettare. A una condizione.»
Lui la guardò con un’intensità quasi febbrile. «Quale?»
«Diecimila euro per ogni volta. E potrò smettere quando lo deciderò io.»
Un sorriso lento si disegnò sul volto di Marco, e in quello sguardo si intravedeva più di un accordo: c’era la soddisfazione di chi, in fondo, aveva sempre aspettato quel momento. «Affare fatto» disse, tendendole la mano.
Marco si voltò verso il bancone, il fumo della sigaretta che si intrecciava all’aria del locale. «Il primo è lui. Il proprietario.» Disse piano, con voce ferma. Sollevò leggermente la sigaretta, come a indicarlo meglio. «Quello che ti ha detto di no, quando gli hai chiesto di riassumerti.»
Sara seguì la direzione del suo sguardo e un sorriso le sfiorò le labbra. «Con lui ci sono già stata» rispose, la voce intrisa di una malizia calma. «È sposato, ma la fedeltà non è mai stata il suo forte.»
Marco annuì lentamente, un lampo di compiacimento negli occhi. «Perfetto. Allora non sarà difficile. Fatti valere, Sara. Mostragli chi comanda. Io resto qui — la prova sarà nella sua firma.»
Lei si alzò senza esitazioni, tirò fuori un elastico dalla tasca e raccolse i capelli in una coda alta. Quel gesto semplice le conferì un’aria più decisa, quasi militare. Si lisciò il vestito, lo sollevò appena sulle cosce per rendere il passo più libero — o più provocante — e si avvicinò al bancone.
Quando vi si appoggiò, lo fece con studiata naturalezza: le braccia distese sul legno, il corpo inclinato in avanti, in modo che la scollatura svelasse quanto bastava per catturare lo sguardo.
«Sai» mormorò al proprietario, con voce dolce e velenosa insieme, «non mi è piaciuto il tuo rifiuto di prima. Io non sono una che si scarta così, alla leggera. E tu lo sai bene.»
Lui cercò di mantenere un’espressione neutra, ma i suoi occhi tradivano la sorpresa. E più ancora la reazione fisica che cercava di nascondere dietro il bancone: una protuberanza nitida, tesa, che premeva contro la stoffa dei pantaloni.
Sara sorrise piano, un sorriso che non ammetteva repliche. Gli sfiorò il braccio con le dita, un tocco lieve ma pieno di intenzione. «Forse potremmo… ricordare i vecchi tempi.»
Il respiro di lui si fece più corto, un ansito roco.
Sara inclinò la testa, lo guardò dritto negli occhi e proseguì, con tono carezzevole ma autoritario: «Andiamo dietro. Nel nostro vecchio posto segreto. Intanto Marco — quel signore laggiù — controllerà il bar. E poi, diciamolo, qui non c’è nulla di davvero interessante…»
Fece un mezzo passo indietro e, come per sottolineare le sue parole, abbassò lentamente la scollatura, rivelando il solco profondo tra il seno ancora sodo, un invito carnale e irresistibile.
Il proprietario trattenne a stento un gemito, la gola secca. Sara si voltò, lo prese per mano, e lo guidò verso la porta del retro.
Mentre camminava davanti a lui, il passo divenne lento e oscillante: le anche si muovevano in un ritmo che sapeva di promessa, una danza silenziosa che lo ipnotizzava. Gli occhi di lui erano fissi sul movimento sinuoso del suo sedere che le lambiva la stoffa del vestito.
Appena entrati in quel posto con luce soffusa si girò verso di lui: «Ti ricordi di me?» e gli si avvicinò piano piano, fino a sfiorargli il petto con le punta delle dita: «Ti ricordi come l'avevi duro, quando stavi da solo con me?»
Le sue mani iniziarono a percorrere vie immaginarie sul corpo di quell'uomo. Lui non reagiva, c'era qualcosa che lo bloccava. Sara si sollevò sulle punte e sfiorò con le labbra la bocca di lui, un bacio accennato. Si allungò ancora, ma stavolta testò la resistenza dell'uomo: premette la sua lingua sulla bocca e le labbra di lui si schiusero, facendo entrare quel pezzo di carne umido e avido, che iniziò a perlustrare la bocca, succhiando con desiderio.
Lui cercò di allungare le mani sul suo seno. Sara lo respinse: «Tu mi hai rifiutata, quindi ora comando io.»
Gli prese i polsi e li portò ai lati, inchiodandolo letteralmente al muro. Iniziò a leccargli il viso, strusciando il suo seno gremito e caldo sul corpo rigido dell'uomo. Gli slacciò i bottoni uno a uno, rivelando il petto villoso; gli anni erano passati, era sempre muscoloso, ma i peli iniziavano a essere bianchi. Gli passò la lingua anche lì, gustando il sapore salato della sua pelle. E gli morse i capezzoli. Lui gemette. «Uhnn… Sara!»
«Hai pensato che bastasse un tuo no, per cancellarmi dalla tua vita, lurido stronzo?» gli morse le labbra «Invece eccomi qui, più arrapata che mai!»
Sara fece un passo indietro, lo lasciò libero, e si tolse il vestito rimanendo nuda, con indosso solo le mutandine di pizzo nero. La sua figura era un’esplosione di curve mature, perfette. Lui la guardò e lei lo fissò negli occhi, con un lampo di trionfo.
Lui si sfilò i pantaloni lentamente; appena li abbassò, il suo sesso, pulsante e venoso, si eresse immediatamente in tutta la sua lunghezza, gocciolante di umore prepuziale. Lei si avvicinò, mise la mano sinistra appoggiata al muro dietro di lui e con la mano destra afferrò la sua asta, palpando il peso e la durezza, accarezzandolo lentamente. Le loro bocche andarono in contatto, provocando delle scintille di saliva, le loro lingue si perlustrarono.
Anche lui le accarezzò la passera, trovandola già viscida e gonfia. Iniziarono ad ansimare in attesa del vero piacere. Sara gli sussurrò all'orecchio, nel pieno del suo potere: «Ora stronzo, scopami.» Accavallò la gamba intorno alla vita del suo partner e con abilità introdusse il pene del suo ex capo dentro di lei. Gemette, quel cazzo duro le aveva riempito la vagina fino in fondo, toccandole il collo dell'utero. Se lo ricordava molto bene.
Alfredo, il nome della persona che in quel momento le stava donando del piacere, la penetrò con più vigore e la fece sobbalzare. Il suo seno si palesò davanti alla sua bocca e lui l'afferrò subito con i denti, tirando e mordendo il capezzolo turgido.
Sara sapeva di averlo in suo potere: «Dopo che sarai venuto dentro di me, farai tutto quello che ti chiedo, vero?»
«Sì, prometto che ti assumerò, piuttosto mi riduco lo stipendio io, ah! ah!» disse lui in preda al piacere.
«Stupido, non voglio un lavoro, voglio solo una tua firma.»
Ormai lui non capiva più nulla, le afferrò il culo ancora sodo, lei finì nelle sue braccia muscolose con entrambe le gambe sollevate. Lui si girò su se stesso e stavolta fu lei a finire appoggiata al muro. La belva che aveva davanti stava spingendo con foga, la pelle che schioccava a ogni penetrazione. «Faccio di tutto per te, brutta puttana!»
Il calore tra di loro si diffuse, la loro pelle iniziò a sudare. Non avevano mai scopato così, altrimenti, probabilmente sarebbero ancora assieme. I loro corpi erano avvolti in una danza incandescente. Il suo pene scorreva veloce dentro la sua passera, che era un guanto bagnato. Non si poteva capire chi gemeva di più e chi godeva di più.
In quell'attimo il tempo sembrò congelato, come se fossero tornati indietro di vent'anni. Lui non smetteva di limonarle le tette penzolanti. Anche se Sara aveva il totale controllo, la forza che la stava dominando in quel momento era quella dell'uomo che aveva di fronte. Poi accadde.
Come una cascata in piena, il cavo vaginale, teso e caldo, fu invaso da un getto abbondante di sperma, bollente, ne seguì un altro; tutto il liquido denso scorreva dentro di lei, con alcune gocce che uscivano dalle labbra inferiori.
Il suo pene si afflosciò, lo estrasse dalla vagina. Sara, per far vedere chi comandava, gli spinse la testa verso il basso. Lui si ritrovò davanti all'antro di piacere, ancora gocciolante e bagnato dal suo sperma: «Ora me la lecchi, ora assaggi la tua sborra, lurido porco.»
E pensare che la nostra eroina fino a pochi minuti fa si sentiva disperata; ora si sentiva la regina. Lui obbedì, la penetrò con la lingua, leccando con avidità la sua saliva che si mischiò tra gli umori della donna e la sua sborra. Sara inarcò la schiena, si sfiorò le tette umide della saliva di lui. «Continua, ti prego, non fermarti, così...»
Stava godendo come non mai, e dentro di sé sapeva che non era merito di Alfredo, ma del potere che stava emanando su di lui, e del piccolo gioco che aveva fatto con il suo amico. Fu così che venne di getto. L'orgasmo, lungo e sferzante, la invase, e decise di emettere una piccola vendetta contro quell'uomo che solo mezz'ora prima l'aveva rifiutata. Gli pisciò addosso con un getto caldo e imprevisto, ma con sua grande sorpresa, lui accolse la sua urina nella bocca. Ora sapeva che poteva chiedergli qualsiasi cosa.
I due corpi si staccarono in modo definitivo. Sara si sistemò i capelli, si pulì le sue parti intime con un tovagliolo trovato sul tavolo e si rimise il vestito. Guardò l'uomo esausto, con la faccia e il petto sporchi di sudore, sperma e urina. «Adesso possiamo parlare di affari.»
Rientrarono nella sala. Marco era ancora lì che li attendeva, con un bicchiere in mano; a quanto pare si era servito da solo. Sul tavolo aveva già preparato un foglio e una penna. Per un attimo, sembrò che Alfredo non avesse capito, guardò Sara, che gli disse: «Tu farai tutto quello che ti chiedo.»
Quindi il proprietario non disse nulla e con mano tremante firmò il contratto. Mentre lo faceva, Marco estrasse un assegno, già cschiompilato e lo porse a Sara: «Ecco i tuoi primi diecimila euro.»
Lei prese quel piccolo foglietto che significava tanti soldi e un minimo di speranza e se lo infilò in borsa e disse le sue ultime parole prima di uscire: «Uno su dieci, vediamo dove mi porterà la tua follia.»
Post New Comment