Sesso a tre in crociera

“Buon pomeriggio comandante, la informo che tra poco meno di un’ora arriveremo a Grand Bahama.”

La voce del secondo in comando venne riprodotta limpida dall’interfono che mi svegliò dallo splendido sogno che stavo facendo. “‘Buon pomeriggio’? Ma che ore sono?” mi chiesi.

Rimasi immobile nel mio letto. Non riuscivo nemmeno ad aprire gli occhi e impiegai parecchi minuti per riprendermi e tornare ad avere la consapevolezza del mio corpo.

Feci di tutto per riavermi dall’intorpidimento e la prima sensazione che percepii fu il bagnato che sentivo tra le mie cosce e tra i miei glutei.

Cercai di recuperare le forze per girarmi, ma incontrai la resistenza di qualcosa che teneva, incollata al lenzuolo, la pelle della mia pancia e dei miei seni.

Insistetti e riuscii a staccarmi da quell’incrostazione. Ma che cavolo era? Stavo riprendendo il controllo del corpo, ma la mia mente era ancora latitante.

Urtai una massa che stava al mio fianco e che m’impedì di voltarmi completamente. Allungai un braccio ed ebbi la percezione che si trattasse di qualcosa di caldo e massiccio.

Finalmente, riuscii a socchiudere le palpebre e vidi, accanto a me, un corpo nudo. Misi a fuoco la vista e, al di sopra del suo profilo, notai svettare un membro di ragguardevoli dimensioni, anche se era a riposo.

Mi sforzai di ricordare, ma niente da fare. Non riuscivo a realizzare chi fosse quel colosso muscoloso, né come fosse finito nel mio letto e, soprattutto, perché era ancora lì, dato che non ho mai permesso a nessuno dei miei amanti di trattenersi nella mia cabina oltre il necessario: ero sempre stata ferrea su questa regola che mi ero imposta da quando presi servizio sulla LightStream.

“Svegliati, devi sparire. Ti do cinque minuti, poi chiamo la sicurezza.” Accompagnai la perentorietà delle mie parole con una decisa pedata che non ho idea quale parte di quel corpo andò a colpire.

Il tizio sussultò, non so se per il dolore o per la sorpresa.

Lasciai il letto e corsi in bagno. Urinai con uno scroscio indicibile e prolungato. Quando mi asciugai, mi resi meglio conto dell’impiastramento che avevo tra le gambe: era quel che restava di un miscuglio di sperma e di mio miele.

Mi alzai dal water, andai allo specchio e rimasi orripilata da ciò che vidi: avevo chiazze biancastre incrostate sul seno, sulla pancia, su un fianco, sul collo, su una guancia, sulla fronte e intorno alla bocca. Per non parlare dei miei favolosi capelli, che ora sembravano un mocio da pavimenti, ispidi e incrostati pure loro.

Ma davvero quel tizio era stato capace di farmi, da solo, una simile doccia di sperma? Per un istante mi pentii di averlo buttato fuori: certi docciatori bisogna tenerseli stretti perché sono rari. Peccato che ancora non riuscissi a ricordarmi assolutamente nulla di quella, o quelle, colossali sborrate che mi ero presa la notte precedente.

Ma ora dovevo darmi una mossa. A occhio e croce, era trascorsa già una decina di minuti dalla comunicazione del mio secondo, e dovevo essere sul ponte di comando almeno una mezz’ora prima dell’attracco. Avevo quindi solo venti minuti per un’accurata doccia e per la mia vestizione.

Aprii al massimo il getto dell’acqua, presi la spugna naturale, che intrisi di abbondante bagnoschiuma all’Aloe, e diedi un’energica strigliata a tutto il mio corpo, per rimuovere qualsiasi traccia di ciò che era accaduto nella notte. Lo shampoo fu altrettanto accurato.

Indossai l’accappatoio e, mentre mi asciugavo, sentii l’estraneo salutarmi e andarsene. Mi chiesi ancora chi cazzo fosse quell’idrante, ma la fretta di prepararmi prese il sopravvento su ogni altro pensiero.

Mi diedi una veloce phonata ai capelli che, grazie al mio splendido taglio scolpito, ripresero velocemente la loro forma ideale. Misi un leggero trucco e un filo di rossetto. Il regolamento, per noi ufficiali di alto grado, era ferreo, in fatto di non esagerare con make-up troppo pesanti.

Uscita dal bagno, constatai che la mia cabina era un disastro e il letto ancora peggio.

Alzai la cornetta del telefono sul comodino e composi il numero del servizio interno che rispose all’istante, vedendo la provenienza della chiamata che aveva priorità su qualsiasi altra esigenza: “Buongiorno comandante, agli ordini!” rispose una giovane inserviente.

“Buongiorno, cortesemente può mandarmi immediatamente qualcuno a riassettare la mia cabina? Grazie.”

“Arriva subito. Agli ordini comandante. Buon pomeriggio.”

Aprii il cassetto dove tenevo la biancheria; volevo essere comoda e confortevole, per cui scelsi un body bianco in cotone leggero. Feci appena in tempo ad indossarlo che bussarono alla porta.

L’inserviente, un ragazzo giovane e carino, vedendomi con indosso solo quel capo semi trasparente, rimase pressoché pietrificato. Gli feci un ampio sorriso per toglierlo dall’imbarazzo e lo invitai ad accomodarsi.

Ero consapevole del suo immenso disagio nel trovarsi inaspettatamente nella cabina con una bellissima donna, seminuda e che, in più, era il suo comandante, con poteri di vita e di ‘morte’ su tutto e su tutti, almeno fin che ci si trovava su quella nave.

Il ragazzo ruppe gli indugi e si dimostrò subito molto efficiente nel capire da dove iniziare.

Mentre prendevo dall’armadio tutti i capi che costituivano la mia uniforme, lo osservavo dallo specchio e notai che, con molta discrezione, lanciava parecchie occhiate in direzione del mio culo, abbondantemente scoperto dallo sgambatissimo indumento. Lo lasciai fare, nella speranza che la libidine gli facesse vincere l’evidente soggezione.

Indossai la candida camicia di ordinanza, poi la cravatta, con i fregi della Compagnia di navigazione ricamati in oro.

Quando mi vide annodarla, il ragazzo rimase bloccato a guardarmi, sorpreso nel vedere quel gesto, normalmente proprio degli uomini, fatto magistralmente da una donna.

Mentre mi infilavo i pantaloni, mi accorsi che il ragazzo aveva recuperato dal letto il minuscolo perizoma in pizzo bianco che indossavo la sera precedente. Pensando di non essere visto, prima di riporlo nel sacco destinato alla lavanderia, se lo portò velocemente al viso per odorarlo.

Siccome i miei sottoposti dovevano sempre avere la certezza che al loro comandante non sfugge mai niente, dovetti renderlo consapevole che mi ero accorta di ciò che aveva fatto, ma non volevo comunque infierire troppo, per cui gli chiesi dolcemente: “Profumano ancora di buono?”

Si pietrificò nuovamente e balbettò: “Ehm, nnon ssaprei… Signora… Ehm, signore…”

“Non preoccuparti, laviamole lo stesso, grazie. Come ti chiami?”

Continuò a balbettare: “Luca... Ehm, inserviente Luca Pedrini, signore.”

“È molto che sei in servizio sulla LightStream?”

“No signore, è il mio primo incarico, comandante.”

“Prima, di cosa ti occupavi?”

“Mi sono diplomato alla scuola alberghiera e ho frequentato, per otto mesi, un corso alla scuola di cucina di Gualtiero Marchesi, comandante.”

“Come mai hanno messo un allievo di Marchesi a fare l’inserviente alle cabine?”

“Vede comandante, la Compagnia non aveva ruoli vacanti nella ristorazione, per cui accettai ugualmente la proposta di questo incarico, sia perché lo ritengo un posto dove posso avere le mie piccole responsabilità e farmi le ossa, poi perché ho i genitori anziani e voglio avere una mia indipendenza economica, signore.”

La risposta del ragazzo mi piacque molto. Mi parve un ottimo elemento e avrei trovato il modo di premiare la sua professionalità.

Avevo terminato di indossare l’uniforme: posi il berretto sulla mia chioma dorata, calibrai millimetricamente la sua inclinazione e mi guardai ancora allo specchio, grandemente compiaciuta di ciò che vedevo con i miei occhi verde smeraldo: il comandante Nora Drake, quarant’anni, mai sposata, un metro e ottantatré centimetri di un corpo perfetto, modellato da palestra, fitness, tanto nuoto e sci.

Orgogliosamente femmina, splendida, affascinante, autorevole e stimatissima, probabilmente, anche per via della mia discendenza dal corsaro ed esploratore inglese Sir Francis Drake.

La compagnia armatrice della LightStream mi aveva voluta, a tutti i costi, al comando della più grande nave da crociera del mondo, unica nel suo genere.

Stazza quasi come due porta aerei e ospita solo mille passeggeri, appartenenti alle classi più agiate e facoltose al mondo. Non esistono categorie economiche differenziate sulla LightStream: l’unica è quella 7 stelle extra lusso, dove un biglietto per una crociera di una settimana costa, di base, sessantamila dollari a persona, più le tasse, ma si è riveriti e coccolati da quasi milleduecento membri dell’equipaggio.

Dopo la mia laurea con lode in Ingegneria Navale, avevo frequentato l’Accademia Militare, dove avevo conseguito la Laurea Magistrale in Ingegneria Navale. L’ambiente militare mi andava un po’ stretto, per cui lo lasciai, dopo averne assorbita tutta la pratica e la dottrina e, per non farmi mancare nulla, presi anche il brevetto di pilota di aerei di linea.

All’aria ho sempre preferito l’acqua, specialmente se dei mari tropicali, per cui le mie prime ricerche di impiego furono indirizzate alle compagnie di navigazione dove, grazie ai miei titoli accademici e alle mie innate doti tecniche, in pochi anni, diventai comandante di unità. Dopo tanto studio e infinite notti insonni sopra i libri, da dieci anni mi stavo finalmente godendo la vita.

Lo studio mi aveva assorbita completamente fino ai trent’anni, per cui mi fu impossibile avere un fidanzato fisso, capace di sopportare i miei lunghi periodi di lontananza e il mio, praticamente, inesistente tempo libero. Ciò non significa che mi siano mancati gli uomini, anzi.

Dal primo rapporto sessuale completo che ebbi al compimento del mio diciottesimo anno di età, durante i restanti dodici anni di studi, di uomini me ne sono fatti veramente tanti. Mi è sempre piaciuto il sesso, non ho mai avuto pudori, riserve morali o culturali e l’ho sempre vissuto con gioia, fantasia e curiosità.

Con così tanta curiosità che non feci mai differenza tra maschi e femmine. Come ebbe a dire Woody Allen: “Essere bisessuale raddoppia immediatamente le tue possibilità di fare sesso.” ed io non sono certo quella che se le lascia scappare.

Era ora di andare. Salutai il ragazzo, uscii spedita dal mio appartamento e, con passo deciso, percorsi i vari ponti che mi avrebbero portata alla plancia di comando, dove mi attendevano gli ufficiali addetti alle manovre.

La sala di pilotaggio era enorme e piena di luce, con vista a trecentosessanta gradi sul mondo.

Giunta in prossimità delle porte d’ingresso, avvicinai il mio viso allo scanner biometrico che effettuò la scansione della mia retina e diede il consenso all’apertura delle doppie porte automatiche.

Al mio ingresso, tutti gli ufficiali scattarono sull’attenti, facendomi il saluto di ordinanza.

Questa formalità non era sempre così rigida, ma il regolamento e la consuetudine imponevano che il primo ingresso di giornata del comandante fosse onorato adeguatamente.

Ricambiai il saluto e gli ufficiali responsabili dei vari servizi e dipartimenti, a turno, mi presentarono il loro rapporto. Erano state una nottata e una mattinata tranquille, e non c’era nulla di così rilevante che richiedesse un mio intervento diretto.

Il mare era calmo e la visibilità eccellente, tanto che, a occhio nudo, vidi in avvicinamento la vedetta della Capitaneria di Porto che trasportava i piloti che ci avrebbero guidati verso la rada e nelle manovre di ormeggio.

Ordinai di fermare le macchine, in modo che la nave avesse il tempo di esaurire la propria velocità inerziale e consentire alla vedetta di abbordarsi in sicurezza.

Prima di terminare il proprio turno, una dei miei secondi, la bella spagnola Montserrat, mi sottopose per la firma una serie di documenti che comprendevano i permessi e le autorizzazioni per le autorità portuali, i preventivi per gli approvvigionamenti e i ruolini di servizio, tra i quali mi fece notare una proposta di nota disciplinare a carico di un sottufficiale che, la sera precedente, si era assentato ingiustificatamente dal proprio posto. Chiesi al commissario di bordo di farmi visionare la scheda del soggetto sul computer del mio ufficio.

Dopo qualche minuto, sul monitor apparve il profilo del ragazzo. “Bel tipo...”, pensai. Non mi era un viso nuovo: infatti, piano piano, mi tornavano alla mente gli accadimenti della sera precedente. “Ovvio che fosse assente dal suo posto! Era beatamente presente tra le mie cosce e mi stava scopando come un forsennato, prima di annegarmi nel suo sperma.” pensai.

[…]

Terminata la riunione, mi diressi velocemente al mio appartamento a prepararmi per la serata.

Quando entrai, rimasi molto compiaciuta dell’ordine e della pulizia che il ragazzo era stato capace di restituire agli ambienti in così poco tempo e, con mia enorme sorpresa, trovai una bellissima rosa bianca appoggiata sul letto. “Che tesoro.” pensai, commossa per il suo gesto.

Mi tolsi tutto ciò che indossavo e andai in bagno a ritoccarmi il trucco e a sistemarmi meglio i capelli.

Avendo liberato la mente dalle mie incombenze lavorative più pressanti, la memoria iniziava a far emergere i dettagli della serata precedente, del tutto atipica dal punto di vista dell’incontro di un mio partner sessuale, almeno da quando comandavo le navi.

Richard Willis, il tizio che trovai nel mio letto poche ore prima, era un sottufficiale addetto alla sicurezza. Quella sera, il termine della mia cena con alcuni passeggeri coincideva con la conclusione del mio turno lavorativo.

Durante il pasto, complice una selezione di vini che venne offerta, a me e ai miei commensali, da una azienda vinicola californiana, avevo bevuto qualche bicchiere in più, oltre a quanto ero abituata.

Sentivo l’effetto dell’alcol, che si manifestava con un forte calore sul viso. Quindi, cercando refrigerio nella brezza marina, decisi di raggiungere il mio appartamento percorrendo alcuni ponti esterni, anziché i corridoi interni riservati al personale.

Nel tragitto, passai davanti all’ingresso del teatro principale, dove si esibiva un’importante compagnia di varietà, scritturata per la prima volta proprio per quella crociera. Incuriosita, entrai da una delle porte di servizio, ritrovandomi a lato del palcoscenico.

Dopo essere emersa da una delle pesanti tende paraluce che proteggevano l’ingresso, notai la presenza, poco distante, del sottufficiale che era in servizio nella sala.

Anche lui mi notò e mi si avvicinò sorridente, salutandomi e riportando velocemente il suo sguardo in direzione del palco, dove stava sfilando un nutrito drappello di stupende ballerine, vestite con dei body dai colori sgargianti, ornati, sul dietro, da ampie ruote di piume nere, che le facevano sembrare simili a pavoni.

Ogni tanto, Richard Willis, sempre senza distogliere la sua visione dalle belle figliole, faceva commenti su questa o quella ballerina, una volta apprezzando il sorriso di una, o le gambe dell’altra e via dicendo.

Inizialmente, lo faceva sporadicamente ma, con il proseguire dello spettacolo, i suoi interventi erano sempre più frequenti e, talvolta, anche un po’ pesanti, dandomi l’impressione che volesse, in qualche modo, coinvolgermi nelle sue emozioni erotiche.

Il ragazzo non era molto alto: io lo sovrastavo di almeno venti centimetri, così, per guardarmi in viso, era costretto a inclinare parecchio la testa verso l’alto.

Aveva un fisico massiccio, da vero palestrato, con spalle larghissime, collo taurino e torace imponente. Nonostante indossasse la comoda divisa, anche i suoi bicipiti si notavano e, quando piegava le braccia, sembravano volerne strappare il tessuto. Aveva un bel viso pulito, gioviale, con una forma tondeggiante, occhi azzurri e un sorriso rassicurante.

Anche se, per i miei gusti, aveva un carattere un po’ troppo estroverso e non molto propenso alla formalità con i suoi superiori, mi era comunque simpatico, forse anche a causa del mio inconsueto tasso alcolico.

Man mano che lo spettacolo progrediva, le bellezze mozzafiato che vi si esibivano avevano costumi sempre più originali e succinti. Molte di loro me le sarei portate a letto anche io, senza pensarci due volte.

Gli apprezzamenti del signor Willis crescevano di pari passo ma, invece di infastidirmi, stavano decisamente svegliando la mia libidine.

Al termine dell’esibizione, le luci del teatro si accesero e Richard Willis riprese il contegno che più si addiceva al suo ruolo, osservando con attenzione che il deflusso del pubblico dalla sala avvenisse ordinatamente e senza problemi.

Rimasi vicino a lui, attendendo che la sala fosse pressoché vuota, quindi feci per avviarmi anch’io verso l’uscita, quando lo sentii chiamarmi: “Capitano, scusi, mi permetta,” mi voltai e attesi che completasse la frase. “le posso offrire qualcosa da bere?”

Guardai l’orologio: era l’una passata da un bel pezzo, ma non avevo sonno. L’eccitazione provocatami dalle soubrettes e dal vino bevuto a cena mi avevano tenuta bella desta.

Pensai che non ci sarebbe stato niente di male ad accettare il suo invito, così acconsentii.

Rimanemmo a bere i nostri drink in piedi, davanti al bancone del bar prospicente il teatro. Inizialmente, parlammo di un po’ di cose di servizio, poi, i suoi discorsi tornarono sul tema delle ragazze del varietà. Quelle grandissime gnocche lo avevano molto colpito. Non mi fu difficile comprendere che aveva una gran voglia di fare sesso, e io non ero da meno.

Gli chiesi: “Lei è ancora di turno?”

Lui guardò l’orologio e rispose: “Eh sì. Ho il turno serale, quindi ne ho ancora per almeno quattro ore.”

Senza proferire parola, appoggiai il mio bicchiere, lo presi per un gomito e lo invitai, con decisione, a dirigersi verso una  porta di servizio laterale che immetteva in uno dei corridoi riservati al personale.

Lui mi guardò con aria interrogativa e, forse, anche un po’ preoccupata, ma si lasciò condurre senza opporsi.

Oltrepassata la porta, gli ordinai: “Mi segua senza fare domande!”

Con passo deciso, percorremmo diversi ponti, corridoi e rampe di scale, fino a quando non fummo davanti alla porta del mio appartamento. Mentre digitavo il codice di accesso, continuava ad osservarmi ammutolito, con quei suoi occhietti vispi.

“Entri!” gli ordinai nuovamente, facendomi precedere. Lui entrò e avanzò una decina di passi verso il centro della sala. Nel frattempo, avevo chiuso la porta alle mie spalle, mi ero tolta la giacca dell’uniforme e slacciata la camicia. Lui si voltò e si ritrovò con le mie tette, coperte solamente dal reggiseno in pizzo, a pochi centimetri dal suo viso.

Non interruppi la mia camminata, così che le mie floride colline gli si stamparono in faccia. Lui fece per arretrare, ma io insistetti a procedere verso di lui, fino a quando, per lui inaspettatamente, si ritrovò con i polpacci contro il letto e ci cadde di schiena.

Mi inginocchiai sopra al talamo, portandomi a cavallo delle sue gambe, gli misi una mano sul pacco, che trovai già bello gonfio, e gli dissi: “Ti va di sfogare tutta la tua tensione con me, anche se non sono una di quelle ballerine?”

Lui mi guardò esterrefatto, senza riuscire a spiaccicare verbo ma, dall’espressione del suo volto, compresi che gli andava, eccome!

Gli slacciai cintura e pantaloni, quindi lui mi aiutò ad abbassarglieli. I suoi boxer trattenevano a stento la sua erezione, così abbassai anch’essi.

Mi si presentò lo spettacolo di un cazzo perfettamente dritto, lungo nella norma, ma massiccio e con un diametro importante, senza troppa differenza di larghezza tra il fusto e il glande. Insomma, la sua forma era perfettamente coerente con l’uomo a cui apparteneva.

Portai la mia mano verso quel randello voglioso, guardai Richard dritto negli occhi, mentre le mie lunghe e affusolate dita iniziavano a stringerglielo.

Gli assestai qualche deciso colpo di sega, poi mi ci chinai sopra e lo serrai tra le labbra, facendo frullare vorticosamente la mia lingua intorno al glande.

Dopo qualche minuto di metodico lavorio della mia bocca, il cellulare di Richard squillò. Io non interruppi il pompino e lui rispose con la voce rotta dal piacere.

Salutò il suo interlocutore, attese qualche secondo, poi mise la comunicazione in viva voce: “[…] sono con quella ragazza che mi hai indicato. Ha accettato il nostro invito. Sei contento?”

Richard richiamò la mia attenzione, invitandomi a sollevare la bocca dal suo cazzone, ora ben lubrificato. Lo guardai, riflettei un attimo su quale sarebbe potuto essere lo sviluppo della serata, quindi gli diedi il mio assenso, alzando il pollice e tornando a succhiarlo.

“Devi andare a prenderli tu.” aggiunsi, prima che concludesse la telefonata. Lui spiegò loro dove si sarebbero incontrati e aggiunse alcune altre indicazioni per farli arrivare.

Interruppi il succoso pompino per permettere a Richard di ricomporsi e andare a recuperare i nostri ospiti. Prima che uscisse, gli raccomandai di non fare cenno a nessuno dei due che ero il capitano della nave.

Nel frattempo, mi tolsi i pantaloni della divisa, li riposi nell’armadio assieme alla giacca e al berretto, indossai una leggerissima e trasparente vestaglia di chiffon bianco, calzai un paio di sandaletti bianchi, tacco dieci, e andai all’angolo bar, dove preparai il secchiello del ghiaccio e alcune bevande da offrire al gruppetto.

Tutto il lavoro sul pisello di Richard mi aveva asciugato la bocca, perciò, per recuperare la salivazione, bevvi un’acqua tonica con un po’ di Gin.

Mentre li attendevo, realizzai che era un bel po’ di tempo che non facevo sesso con più di un’altra persona, non ricordavo nemmeno quando e dove fu l’ultima volta.

Però, non mi stupii che l’essere nell’imminenza di un tale atto, comunemente bollato come perverso e moralmente disdicevole, non mi procurava alcuna scossa emotiva, nemmeno un aumento del battito cardiaco. Mi sembrò quasi di essere un automa, guidato solo dalla propria libidine.

Bussarono alla porta e, con estrema flemma, andai ad aprire. Richard entrò per primo e mi presentò gli ospiti: erano Bob, un cabarettista trentacinquenne di un certo successo e Maya (credo fosse un nome d’arte), una statuaria ragazza sui venticinque anni, capelli castani raccolti a coda, alta almeno un metro e settanta, con un viso interessante, non strepitoso, ma che, con il trucco di scena, sarebbe potuto apparire molto attraente.

Maya mi strinse la mano, mi guardò dritta negli occhi e io percepii subito una vibrazione non positiva.

Al telefono, Richard aveva precisato a Bob che era in compagnia di una signora. Dicendo ‘signora’, la ragazza, forte della sua giovane e appariscente presenza, probabilmente si aspettava di essere lei la primadonna dell’ammucchiata ma, quando mi vide, dovette ricredersi clamorosamente.

Li feci accomodare, li invitai a seguirmi verso il bar e chiesi loro cosa gradissero bere. Mentre servivo i drink, Maya rimase sempre in silenzio con un mezzo sorriso di circostanza. Ipotizzavo si chiedesse chi ero e cosa facevo per permettermi una crociera del genere. Da quando entrò nella mia suite, sembrammo due tigri nella stessa gabbia: lei, sentendosi in stato di inferiorità, osservava ogni mio gesto, nella speranza di cogliere un qualcosa che la rassicurasse che anche io ero un essere vulnerabile.

Io, sicura della mia superiorità in tutto, bellezza compresa, mi lasciai osservare e studiare, mantenendomi sempre serena e indifferente.

Invece, Bob manifestava a Richard tutta la sua ammirazione per la mia suite. Faceva il brillante, recitando la sua parte di intrattenitore anche lontano dal palcoscenico, cercando di mascherare il suo evidente imbarazzo di essersi ritrovato, inaspettatamente, in un ambiente sofisticato ed esclusivo e, per lui, altrimenti inarrivabile.

Io rimasi pressoché in silenzio per tutto il tempo, limitandomi a sorridere a qualche battuta che Bob rivolgeva a Richard, cercando sempre di evitare di guardare me negli occhi.

Conclusi che lui mi considerava come qualcuno di totalmente alieno alla sua realtà, come il mio appartamento e, probabilmente, stava anche sperando di essere sempre all’altezza della situazione, specialmente quando saremmo arrivati ‘al dunque’ e a scoprire le nostre ‘carte’ più intime.

Le chiacchiere proseguirono ancora per un po’. Bob era curioso di vedere il panorama dalla terrazza, così ci versammo altri drink e ci trasferimmo all’esterno per un altro quarto d’ora.

Pazientai ancora e attesi che si decidessero a rientrare. Quindi, mentre indugiavano ancora nei pressi del bar, con aria distaccata e sempre sotto lo sguardo ‘colloso’ di Maya, andai verso il letto, aprii la vestaglia senza toglierla, mi ci sdraiai in una posa seducente e chiesi, con voce pacata ma decisa: “Allora, signori miei, si scopa?”

I due maschietti ammutolirono, si guardarono sorpresi, poi si voltarono verso di me, sorridenti.

Sul volto di Maya, invece, calò una maschera di gelo.

Quel mezzo sorriso, che aveva sempre tenuto stampato in volto, scomparve e vidi chiaramente la sua mascella contrarsi. Mi lanciò un’occhiata che avrebbe voluto incenerirmi, con un gesto stizzito recuperò il giacchino e la borsetta, che aveva posato su una sedia, ed esclamò un sonoro “vaffanculo” in direzione dei due ometti.

Poi, andando con passo deciso in direzione della porta, passò davanti a me, appellandomi: “Lurida puttana!”

Non mi venne da fare o dire nulla, se non sorriderle.

Uscì lasciando la porta spalancata, così mi rivolsi ai due uomini rimasti esterrefatti e chiesi: “Cortesemente, uno di voi vorrebbe chiudere la porta?”

Richard si precipitò ad eseguire la mia richiesta, mentre Bob, ancora con il bicchiere in mano, venne verso di me, scusandosi per il comportamento della sua amica. Anche a lui sorrisi e non dissi nulla.

Allungai una mano nella direzione del suo bicchiere e lui me lo passò. Ne bevvi tutto il contenuto in un solo sorso, lo posai su uno dei comodini e lo invitai a salire sul letto.

Bob si tolse le scarpe e ci si accomodò, sdraiandosi al mio fianco. Senza esitare, avvicinai il mio viso al suo e presi a baciarlo, passandogli una mano tra i capelli nero corvino. Lui, con un po’ di esitazione, prese ad accarezzarmi un fianco e una gamba.

Richard rimase a godersi la scena, evidentemente compiaciuto della piega che stava prendendo la situazione. La mia manifesta disponibilità incoraggiò Bob a spostare le sue carezze anche sui miei seni. Lo lasciai fare per un pochino, poi dissi: “Ragazzi, perché non vi mettete in libertà?”

I due iniziarono subito a spogliarsi, rimanendo a guardarmi con occhi pieni di desiderio. Quando furono nudi, vennero a coricarsi, lasciandomi al centro tra loro.

Diedi prima qualche bacio a Richard, che stava alla mia destra, accarezzandogli il petto, poi mi voltai verso Bob e feci lo stesso. In quel modo volli stabilire la mia parità di interesse nei loro confronti ed evitare possibili competizioni che possono nascere, quando ci sono due ‘galletti’ e una sola ‘pollastrella’ nello stesso letto.

Mi tolsi la vestaglia e il reggiseno, tenendo ancora il piccolo perizoma in pizzo bianco. La mia manovra fu da loro recepita come il ‘via libera’ definitivo, così le loro mani presero a percorrere il mio corpo.

Per qualche decina di secondi, evitarono le parti più intime, ma poi ruppero ogni esitazione, pastrugnandomi pube e vulva con una certa decisione; al che, cercai con le mani i loro membri, li impugnai e, per quanto mi fu possibile dalla posizione nella quale mi trovavo, iniziai a segarli dolcemente.

Spinta dal mio istinto di femmina dominante, mi alzai, mi voltai e mi inginocchiai sul materasso. Mi chinai sui loro membri durissimi, li insalivai per bene e ripresi a segarli ancora, ma con maggiore forza.

Li guardavo dritta nei loro occhi, sorridendo loro e mi godevo quegli istanti magnifici: tenere in pugno due maschi, ai quali avrei potuto chiedere di fare qualsiasi cosa, anche la follia più insana, e loro mi avrebbero docilmente ubbidito, tanto era il loro desiderio che io li soddisfacessi.

Anche la mia libidine era ormai molto accesa e mi veniva naturale, di tanto in tanto, passare la mia lingua sulle mie labbra, accentuando l’immagine di grande porca che già stavo fornendo loro. Ripresero ad accarezzarmi ciascuno una gamba, poi cercarono i miei seni, ma ero un po’ troppo distante, quindi mi spostai per favorire le loro carezze che, alternativamente, finirono per arrivare anche tra le mie cosce, dove la mia turgida albicocca era da un pezzo che colava densi umori che bagnavano le mutandine.

Nonostante l’alcol che avevo in corpo, ero lucidissima e mi sentivo molto monella. Come tale, mi piacque sollecitare, oltre ai loro sessi, anche le loro menti, per cui iniziai a fare loro qualche domanda: “Allora, miei maschietti, cosa ne pensate di essere letteralmente ‘in pugno’ ad una sola donna? Mi stavo chiedendo chi sarà il fortunato che mi scoperà per primo...”

I due si guardarono ridendo. Richard rispose: “Se Bob è d’accordo, potremmo fare a testa o croce. Che ne dici Bob?”

Prima che Bob rispondesse, intervenni: “Una volta, dove anche in quell’occasione ero con due bei fusti, decisero che uno solo mi avrebbe scopata, e sarebbe stato chi non avesse sborrato durante la sega sincronizzata che stavo facendo loro. Ma questa notte vi voglio tutti e due, così non sarò così cattiva da riproporvi quel gioco.”

“Sei una donna molto generosa.” disse Bob, al che decisi che sarebbe stato lui il primo sul quale mi sarei impalata.

Senza staccare la mano dal cazzo di Richard, mi tolsi il piccolo perizoma, invitai Bob ad avvicinarsi, lo scavalcai e mi calai sopra il suo membro che entrò in me senza ostacoli. Presi a cavalcarlo lentamente, mentre continuavo a segare Richard che non staccava gli occhi dal mio bacino, osservando la sequenza di movimenti che, sapientemente, imprimevo ai miei fianchi.

Fantasticavo su quali fossero i suoi pensieri, se si fermavano alla semplice osservazione, o se si stesse chiedendo cosa stava provando Bob, sotto l’azione di quella splendida donna, così disinibita e immensamente troia…

Percepii che Bob si stava avvicinando troppo velocemente all’orgasmo, così mi alzai e mi dedicai, allo stesso modo, a Richard.

Sentii chiaramente la differenza di volume e di diametro del suo membro. Il suo mi riempiva bene e mi fece fare un bel passo in avanti nel mio godimento.

Bob si alzò in piedi e si posizionò con il suo pisello davanti al mio viso. Mi venne automatico impugnarglielo e succhiarglielo. La mia abilità ed esperienza, anche in queste situazioni a tre, mi consentirono di dare piacere ad entrambi, senza trascurare nessuno dei due.

Non ho idea di quanto tempo trascorse giocando e cambiando varie posizioni del triangolo, ma ricordo che la mia voglia di avere un bell’orgasmo era ormai prepotente, così, ad un certo punto, mi sdraiai con le gambe oscenamente spalancate e dissi loro: “Amori miei, mi siete piaciuti tantissimo. Adesso sfogatevi fino in fondo, ve lo meritate, ma cercate di non venirmi dentro.”

Bob diede uno sguardo a Richard ed egli annuì, così fu Bob a scoparmi per primo, alla classica missionaria.

Iniziò a darmi decise e profonde pompate, che assecondavo muovendo ritmicamente il bacino. Tenevo le mie braccia avvinghiate sulla sua schiena, invitandolo ad andare a sempre maggior profondità dentro di me. Proseguì per qualche minuto, poi arrivò al punto di capitolare, senza essere riuscito a farmi venire.

Lasciai la mia presa in modo di consentirgli di uscire, come mi ero raccomandata. Appena estrasse il suo cazzo, gli bastarono uno o due colpi di sega per iniziare a sparare almeno quattro o cinque abbondanti schizzate di sperma che andarono a posarsi su varie parti del mio corpo.

Esausto e madido di sudore, crollò al mio fianco, abbandonandosi ai postumi dell’orgasmo.

Richard era rimasto ad osservare, tenendosi il cazzo in mano e segandosi solo leggermente. Prima di avvicinarsi, attese che fossi io ad invitarlo. Protesi le mie braccia verso di lui e dissi “Vieni Richard, tocca a te farmi godere.”

Appena entrò in me, ebbi nuovamente quella fantastica sensazione di sentirmi riempita dalla prepotente e voluminosa carne di un uomo.

Richard sapeva scopare molto meglio di Bob: mi pistonava sapientemente, facendo ruotare per bene il cazzo nella mia accogliente vagina, alternando affondi decisi, fino alle palle, con mezzi affondi più dolci e con ritmo differente dagli altri.

Aumentai la sua stimolazione, facendogli sentire la potenza dei miei muscoli vaginali. Nonostante ciò, riuscì a durare ancora a lungo.

Nel frattempo, Bob, ripresosi dalla goduta, si era messo su un fianco e ci osservava, ma a me e a Richard sembrò che lui neanche esistesse, tanto eravamo trasportati dall’incredibile scopata che ci stavamo facendo.

Forse capì che ormai era di troppo, forse era solo stanco e un po’ ubriaco, o forse nutriva qualche sentimento di invidia per Richard che era stato così bravo ad accendermi, per cui, d’un tratto, si alzò dal letto, si rivestì velocemente e si avviò verso l’uscita della suite, salutandoci.

Non avemmo modo di rispondergli, perché ormai prossimi ai nostri orgasmi.

Il mio arrivò qualche attimo prima di quello di Richard e fu dirompente: ondate di piacere e scosse elettriche si alternavano lungo la mia schiena, percorrevano il collo e si aprivano nella mia testa. Non capivo più niente e la mia mente volava nello spazio.

Riuscii comunque a percepire l’ulteriore irrigidimento del cazzo di Richard, che non riuscì a trattenersi prima di uscire, sparandomi la prima, potente schizzata nella vagina, poi, una volta fuori, mi piegai verso di lui e ricevetti il resto della sborrata sul viso, sul collo e nei capelli.

Io crollai di spalle, lui al mio fianco, accasciandosi esausto. Terminata l’iniezione di adrenalina, l’alcol prese il suo posto, facendomi girare la testa, così che mi addormentai di botto, non ricordandomi più nulla di quanto era successo...

Sei curioso di conoscere il seguito? Allora, soddisfa la tua curiosità e regalati questo avvincente e trasgressivo romanzo, narrato senza censure dalla splendida e lussuriosa Nora.

E-book e libro cartaceo (260 pagine(:
https://www.amazon.it/dp/B0BH8RPKB6

Un inaspettato e sorprendente spaccato della vita trasgressiva di Nora Drake, la splendida, affascinante e libertina comandante della più lussuosa nave da crociera del mondo.

Un romanzo ad altissimo contenuto erotico che trasporterà il lettore in scenari da favola, tra Caraibi, Dubai e la Costa Azzurra, mettendo a nudo la vita di bordo e dell'equipaggio che, solitamente, è invisibile ai crocieristi, ma che è densa di imprevisti, incontri, passioni, desideri e, ovviamente, di tanto sesso.

Attenzione: per i temi trattati e i contenuti sessualmente espliciti, le descrizioni e il linguaggio senza censura, questo libro è severamente vietato ai minori di 18 anni.

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